DOV’È FINITO LO ZIO COSO?

Venerdì 16 febbraio ore 20:30

Crediti

Liberamente tratto dal romanzo “Lo zio Coso” di Alessandro Schwed

Adattamento teatrale e regia Manfredi Rutelli

Con Gianni Poliziani e Alessandro Waldergan

Musiche originali e paesaggi sonori Paolo Scatena 

Luci Simone Beco

Produzione LST Teatro

Presentazione

Storia apocalittica della memoria indifesa, del rischio dell’oblio e del revisionismo storico, vede i due protagonisti, il viaggiatore Melik ed il veterinario Oscar Rugyo, incontrarsi, forse casualmente, forse no, in uno scompartimento del treno che sta portando Melik in Ungheria, alla ricerca delle sue radici e di suo zio, fratello del padre recentemente scomparso. Un incontro surreale e devastante, che porterà Melik ad apprendere da Oscar che la Seconda Guerra mondiale non c’è mai stata. Con relativa negazione di tutto ciò che da quell’evento è derivato: bombardamenti, deportazioni, morti. Tutti eventi questi, frutto di un malinteso, un complotto giudaico laburista finalizzato a mettere in cattiva luce la grande Germania. Tesi, dimostrata con tanto vigore e stravagante fantasia, più che convincente, e da cui scaturirà la conseguente conclusione che tutto ciò che Melik ha vissuto e vive non è assolutamente esistito.  Provocando nella sua fragile mente, una fitta, un lancinante dolore, come di qualcosa che si rompe, si incrina, si frattura, dentro la propria testa.

Un dolore come di una botta, o, più probabilmente, di una caduta da un treno.

Da quell’incontro con il veterinario Oscar, dal successivo colpo alla testa riportato nella probabile caduta, Melik ha cominciato a perdere le parole; le dimentica, non le trova, le ha sulla punta della lingua, ma non gli vengono. Si sforza, come ora si sforza di ricordare il nome dello zio che, con quel viaggio in Ungheria, stava andando a trovare. Zio Coso, lo chiama ora. Ora che seduto sulla poltrona di casa, con le fitte alla testa, si sforza di ricordare dov’è finito lo zio Coso, si sforza di ricordare la storia, per non continuare a cadere nel precipizio, per non finire nell’abisso dell’oblio. Mentre da qualche parte si sente ripetutamente bussare alla porta.  

Non uno spettacolo sull’olocausto o sulla shoah, quindi, ma sull’indispensabile esercizio della memoria. E se, come dice San Paolo “Ogni cosa si rivela con l’esposizione alla luce, e tutto ciò che viene esposto alla luce diventa luce”, allora l’unico modo per salvarci dal precipizio, dall’abisso della dimenticanza, e riaffermare la presenza nella Storia, è l’estenuante, ossessivo e doloroso riportare alla luce ciò che qualcuno vorrebbe nascondere, oscurare, seppellire.  Oggetti, parole, preghiere, strade, città, date. Nomi.

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