25 OTTOBRE – ORE 21
“Te lo dirò nella mia lingua poi la inghiottirò. Infinita riconoscenza allo stremo.”
Dopo il teatro, la letteratura, la pittura, gli mancava la poesia: il primo libro di poesia di Alessandro Bergonzoni può essere la dimostrazione che, a forza di «praticare l’inesistente che c’è», non ci si riduce, anzi, ci si spande e si dilaga. Una trascrizione poetica dei suoi monologhi dove la parola viene espiantata dal suo contesto e colpisce come una spada.
«Ho cominciato dieci anni fa a scrivere a rotta di collo una sessantina di quaderni che ho letto per la prima volta un anno fa. Da cui ho ricavato queste poesie. Non avevo mai lavorato sulla concisione e sulla sintesi. Alcune sono di due righe appena. Racconto la morte e l’amore come appare dal titolo. L’amorte oltre allo scambio di consonante può leggersi come “a morte”, colpito a morte, amato a morte» rivela in un’intervista.
«Siamo ormai in un tempo in cui chiediamo moltissimo: chiediamo più giustizia, chiediamo di non soffrire, di non morire. Ma per tutte queste richieste è necessario fare spazio. La poesia ha anche questo portato. Spacca tutto, allarga tutto. Non c’è più la nostra casina in cui ci ritiriamo la sera, metaforicamente il nostro letto non può esistere più, perché deve trasformarsi in un letto a centomila piazze, dove dormono tutti, anche i bambini gasati da Assad».